Europee, il voto del “fare”

Eccoci qui. Passata la sbornia post scrutinio che ha visto un PD riprendersi l’identità per cui era nato, ovvero la vocazione maggioritaria (i ricordi vanno al Veltroni del Lingotto), ci si deve interrogare su come capitalizzare questo risultato. Si, perché la mobilità dell’elettorato ci dimostra come nulla va dato per scontato, che non esistono più blocchi consolidati di elettorato fedele, che
le persone valutano le proposte e la capacità delle persone di realizzarle.

Il PD ha rotto un tabù, ha saputo introdursi in pezzi di società che fino ad oggi non hanno mai neanche guardato al centro sinistra. Lo ha fatto proponendo un cambio di passo, un linguaggio diverso, un’ostinata concretezza.

Nonostante l’aumento dell’astensionismo, il PD guadagna 3.183.262 voti in più delle elezioni europee del 2009 e 2.513.716 voti in più delle politiche dell’anno scorso (+29% in un anno).
Migliora i propri risultati in 19 regioni su 20 e in tutte le province tranne 3.

In #Veneto le province in cui il PD ottiene i miglioramenti più significativi (ades. Vicenza più 61,3% rispetto alle politiche 2013 e a seguire Verona, Treviso, Pordenone, Udine).

Nel nostro nordest il M5S perde il 37% dei voti che in parte tornano alla Lega ma numerosi arrivano al PD.

Evidente a tutti il traino della figura del premier Matteo Renzi e dei risultati concreti ottenuti dal suo governo. Indiscutibile la necessità di mantenere dritta la barra delle riforme e del cambiamento. Il
Governo può contare su una squadra nel partito, in Parlamento e ora in Europa che lavora per questi obiettivi. Anche in Veneto dobbiamo consolidare una squadra che sappia indicare ai veneti
la direzione del cambiamento. Lavoro, sviluppo sostenibile del territorio, autonomia sono alcuni dei temi che devono essere affrontati e sui quali è necessario dare risposte concrete.

Come ha detto Renzi “le discussioni sui nomi vengono dopo le discussioni sulle cose da fare”.