La responsabilità civile dei magistrati è legge
Dopo molti rinvii e non senza polemiche è giunta in porto la legge sulla responsabilità civile dei magistrati che l’Unione Europea aveva sollecitato fin dal 2011 con la previsione di 50 milioni di euro di “multa” in caso di inosservanza. Un passaggio storico che garantisce, da un lato, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e, allo stesso tempo, corregge la legge Vassalli che ha dimostrato di non funzionare. Sono, infatti, i numeri a parlare: in quasi 30 anni di legge (la Legge Vassalli risale al 1988) a fronte di milioni di sentenze, sono stati appena 400 i ricorsi dei cittadini, 46 quelli ammessi alla discussione e solamente 7 le condanne.
Con questa norma si estendono le tutele dello Stato nei confronti dei propri cittadini che subiscono casi di malagiustizia. Vediamo, quindi, più da vicino gli aspetti principali.
La modifica della legge che disciplina la responsabilità civile dei magistrati, la cd. Legge Vassalli (che regola l’azione utile a far valere la responsabilità civile dello Stato per i danni causati dalla condotta illecita di un magistrato), si è resa necessaria sostanzialmente per due motivi:
1) la sua scarsa concreta applicazione;
2) l’apertura di una procedura d’infrazione europea.
Il testo all’ordine del giorno è stato già approvato dal Senato e non è stato modificato dalla Commissione Giustizia in sede referente. Quindi, in assenza di modifiche, l’approvazione sarebbe definitiva.
È opportuno chiarire che proprio la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, nell’evidenziare l’intento di assicurare ai cittadini un rimedio risarcitorio completo per i danni subiti anche dall’esercizio della giurisdizione, definisce come essenziale che sia lo Stato e non il singolo giudice a rispondere in modo diretto per eventuali violazioni del diritto dell’Unione europea commesse nell’esercizio della giurisdizione.
La riforma mira proprio a sanare l’infrazione sollevata nei confronti dell’Italia.
La proposta è composta da sette articoli che introducono modifiche agli articoli 2, 4, 7, 9 e 23 della legge Vassalli sulla responsabilità civile dei magistrati.
Gli elementi principali sono:
– il mantenimento dell’attuale principio della responsabilità indiretta del magistrato (l’azione risarcitoria rimane azionabile nei confronti dello Stato);
– la limitazione della clausola di salvaguardia che esclude la responsabilità del magistrato;
– la ridefinizione delle fattispecie di colpa grave;
– l’eliminazione del filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda (viene eliminata cioè la norma che prevedeva che decisione sull’ammissibilità del risarcimento spettasse allo stesso Tribunale del dibattimento);
– una più stringente disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato.
I punti più discussi sia nella commissione che nel dibattito pubblico e sui media hanno riguardato i nuovi casi di colpa grave e, in particolare, il travisamento del fatto o delle prove. E questo perché la responsabilità per il travisamento del fatto o delle prove sarebbe legata alla fisiologica attività valutativa del giudice che è propria dell’esercizio della funzione giurisdizionale. Su questo punto in particolare è necessario sottolineare il rilievo, costruttivo e da condividere, secondo il quale le preoccupazioni suscitate dalla nuova ipotesi di travisamento del fatto o delle prove possono essere superate ricorrendo ad un’interpretazione costituzionalmente orientata in base alla quale costituisce travisamento la «affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento» o dalla «negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento».
In altri termini, risulta chiaro come l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma imponga di considerare che l’unico «travisamento» rilevante ai fini della responsabilità civile del magistrato quello macroscopico, evidente, che non richiede alcun approfondimento di carattere interpretativo o valutativo. Per questa ragione sono stati respinti anche li emendamenti che qualificavano come «manifesto» il travisamento.