Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, necessario continuare nell’azione di contrasto
Oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Si tratta di una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1999. La risoluzione approvata di fatto ufficializzò la data indicata da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio, nel 1960, delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.
In Italia abbiamo iniziato a celebrare questa giornata solo nel 2005. In questi anni però si sono moltiplicate le iniziative di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, volte a creare nella società una consapevolezza diversa del fenomeno, una nuova cultura. Sono nati numerosissimi Centri antiviolenza, che garantiscono accoglienza e supporto psicologico o legale, e sono sorte diverse associazioni che offrono sostegno alle vittime di discriminazioni, abusi e violenze. Eppure i dati restano allarmanti.
Ogni anno oltre cento donne vengono uccise in Italia da uomini che conoscevano o con cui, nella maggioranza dei casi, avevano avuto una relazione affettiva.
Non è sufficiente limitarci a contare esclusivamente le donne uccise, esse sono solo la “punta dell’iceberg” di un fenomeno assai più complesso ed eterogeneo sommerso ma nello stesso tempo sempre più diffuso. Secondo di dati Istat del 2015, sono 6 milioni 788 mila le donne che hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, ovvero il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni. Secondo la rilevazione, è aumentata la percentuale dei figli che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del 2006 al 65,2% del 2014). Le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in misura maggiore rispetto alle altre (51,4% contro 31,5%). Una situazione ancora critica delle donne con problemi di salute o disabilità: ha subìto violenze fisiche o sessuali il 36% di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6% di chi ha limitazioni gravi.
E in Veneto? Secondo i dati del Coordinamento dei Centri antiviolenza della Regione, a partire dal 1 gennaio 2016 al 31 ottobre sono state ascoltate e accolte nei 13 Centri antiviolenza (su 21 mappati dalla Regione) le richieste d’aiuto di 1.524 donne, di cui 1.091 italiane. Di loro, 773 hanno figli minori, i quali spesso sono vittime di violenza per quanto hanno assistito tra le mura domestiche.
La legge 23 aprile 2009 n. 38, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11, ha introdotto nel nostro codice penale il reato di stalking. Nel 2013 è entrata in vigore la legge sulle “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere” che ha arricchito il codice penale di nuove aggravanti e ampliato le misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica. In particolare l’articolo 5, inserisce tra le misure di prevenzione della violenza sessuale e di genere, l’adozione, da parte del Ministro delegato per le pari opportunità, di un nuovo “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, da elaborare con il contributo delle amministrazioni interessate, delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza. Sempre nel 2013, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l’11 maggio 2011. La Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell’ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela. La Convenzione precisa nello specifico che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione. Inoltre, con DPCM del 24 luglio 2014 sono state ripartite le risorse destinate alle Regioni per l’adozione di azioni concrete volte al contrasto della violenza alle donne e per i centri antiviolenza e le case rifugio. E ancora, di recente, con l’intesa del 27 novembre 2014 tra Presidenza del Consiglio Ministri e Conferenza Unificata sono stati stabiliti i requisiti minimi per i centri antiviolenza e le case rifugio. Infine, è di queste ore la notizia che la Commissione Bilancio della Camera ha approvato l’emendamento che aumenta di 5 milioni di euro l’anno le risorse per il sostegno delle donne vittime di violenza e dei loro figli aumenta. La norma stabilisce che le nuove risorse vadano “a favore del piano antiviolenza, dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittima di violenza”.
È del tutto evidente che non bastano gli interventi normativi e che la sanzione penale da sola non è sufficiente a garantire alle vittime del reato una adeguata forma di protezione, in special modo nelle situazioni in cui gli atti persecutori o violenti sono in atto e la persona offesa non ha ancora proceduto a denunciare formalmente il fatto. È fondamentale un cambiamento culturale, poggiato su percorsi scolastici ed educativi, e sul lungimirante investimento di significative risorse nelle politiche di prevenzione.
Importantissimo è formare e informare. Un ruolo decisivo lo ha la scuola: bisogna uscire dagli stereotipi di genere, educare i ragazzi alla relazione e impostare il rapporto tra maschio e femmina sul rispetto tra le persone e non su modelli precostituiti. È necessaria una sensibilizzazione di tutti, inclusi gli operatori dei settori dei media, per la realizzazione di un’efficace comunicazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere, in particolare della figura femminile.
Dobbiamo uscire da questo tunnel che non può definirsi purtroppo un fenomeno marginale ma il sintomo di una società che non ha maturato il valore della parità. Non possiamo pensare che i fatti riguardino altri, così facendo, implicitamente accetteremmo che una donna subisca violenza. Ciascuno di noi può fare qualcosa, anche solo spiegando ai propri figli, ai ragazzi che il rispetto è alla base di qualsiasi convivenza civile.