Decreto banche e investimenti: Riforma banche popolari

Lo scorso 24 gennaio il Governo ha emanato il decreto-legge recante “Misure urgenti per il sistema bancario e per gli investimenti”. Il decreto si compone di nove articoli, ma l’interesse principale risiede anzitutto nell’articolo 1, che in sostanza prevede una profonda riforma della disciplina delle banche popolari. 

La riforma non riguarda le banche cooperative le banche popolari di piccole dimensioni bensì quelle con un patrimonio superiore agli 8 miliardi. Il sistema delle banche popolari conta 70 istituti: non sono coinvolte dalla riforma quindi 60 banche ma solo le prime 10.

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Che cosa cambia?
Il decreto stabilisce che entro 18 mesi, entro quindi il 16 luglio 2016, le banche popolari che rientrano nel parametro del patrimonio superiore agli 8 miliardi dovranno trasformarsi, pena l’adozione di provvedimenti da parte dell’Autorità di Vigilanza, in Società per azioni.

La dinamica di deterioramento dei crediti, a partire dall’inizio della crisi, è stata più veloce nel settore delle banche Popolari rispetto agli altri settori dell’industria bancaria. I meccanismi di governance di questi istituti, in primis il principio del voto capitario (per cui all’interno dell’assemblea degli azionisti ogni socio può esprimere un singolo voto – uno vale uno – indipendentemente dal numero delle azioni che detiene o rappresenta), rendono più lenta e faticosa la provvista di nuovi capitali per far fronte alla necessità di ricapitalizzazione che preoccupa le autorità di vigilanza nazionali ed europee.

Gli obiettivi fondamentali della riforma sono quindi quelli di consentire alle banche di poter reperire più agevolmente risorse sul mercato di capitali, accrescendone l’attrattività nei confronti degli investitori, e al tempo stesso di favorire una maggiore trasparenza e la piena contendibilità degli assetti proprietari e il ricambio della compagine sociale, e quindi della governance.

Temere lesioni allo spirito cooperativo o al legame stretto con un territorio è, nel caso delle banche grandi e complesse, anacronistico e in contrasto con i fatti. Le banche popolari distribuiscono gli utili, non hanno obblighi di destinazione degli stessi a fondi mutualistici, sono diffuse in territori ben più ampi rispetto a quello di origine, non rientrano nella tutela prevista dall’art.45 della nostra Costituzione.
Infine, conseguenze negative per l’occupazione discenderebbero dal mantenerle in una condizione di fragilità patrimoniale e gestionale, non da un assetto societario che può anzi facilitare la ricerca di efficienza e di economie di scala.

Conclusioni
La riforma delle banche popolari che il Governo ha introdotto va nella direzione di rafforzarne la capacità di ben operare in un mercato bancario in forte cambiamento. Il modello di regolazione e supervisione bancaria che si è affermato in questi anni, nel mondo e in Europa, è incentrato nel rispetto rigoroso di alti requisiti di capitale, in periodiche prove di stress severe e diffuse, nel tempestivo coinvolgimento di azionisti e creditori in eventuali perdite.

Riprendendo le parole del Direttore generale della Banca d’Italia Rossi, mi preme sottolineare che l’economia italiana ha bisogno, e ne avrà ancora più nella ripresa che sta iniziando, di banche efficienti, patrimonialmente solide, a loro agio nel mercato internazionale. Banche che siano in grado di accompagnare, anzi di sollecitare, la crescita dimensionale delle piccole e medie imprese dinamiche e innovative, crescita da cui dipende molta parte del nostro futuro.

L’economia italiana continuerà ad avere bisogno anche di banche piccole e cooperative, che sappiano interpretare i migliori valori di comunità che i territori sanno esprimere, al servizio del tessuto di risparmiatori e di imprese che restano piccole. Ma anche loro dovranno adoperarsi, e lo stanno già facendo pensando ad una proposta di autoriforma, per trovare soluzioni organizzative che le renderanno più sane ed efficienti.

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