DDL Prescrizione: le linee della riforma

25.03.2015

Il tema della prescrizione dei reati ha assunto in questi ultimi anni un ruolo centrale nel dibattito parlamentare e politico, anche perché i frequenti casi di estinzione di processi per intervenuta prescrizione, con conseguente proscioglimento degli imputati prima di una pronuncia definitiva, hanno suscitato indignazione e polemiche soprattutto con riferimento a reati ambientali ed a gravi reati contro la pubblica amministrazione. Da ultimo, ad esempio, il clamore suscitato dalla “sentenza Eternit”.

L’esigenza di intervenire sulla disciplina della prescrizione è stata sottolineata dal primo Presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, nella Relazione sull’amministrazione della giustizia dell’anno 2014, svoltasi il 23 gennaio 2015. Il primo Presidente ha più volte affermato che l’attuale disciplina della prescrizione è gravemente insoddisfacente, anche a prescindere dal problema di definirne, per certe tipologie di reato, la decorrenza.

Quando si parla di prescrizione si evoca subito la ragionevole durata del processo, citata dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, all’articolo 6. Questo parametro rimane certamente violato nei riguardi della vittima nelle eventualità in cui – senza sua colpa – l’imputato usufruisce del maturare della prescrizione. In altre parole ogni processo che si conclude con l’estinzione del reato lede il sentimento di giustizia della collettività e, in particolare, si ledono le giuste aspettative delle vittime dei reati per effetto della sostanziale impunità dei loro autori.

L’attuale disciplina della prescrizione del reato (dagli articoli da 157 a 161 del codice penale) è stata introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 che aveva sostanzialmente riscritto l’articolo 157 del codice penale, prescrivendo che il tempo necessario a prescrivere corrisponda al massimo della pena edittale stabilita dalla legge per ogni singolo reato, e precisando comunque, che in caso di delitto, il tempo necessario a prescrivere non può essere inferiore a 6 anni mentre in caso di contravvenzione non può essere inferiore a quattro anni. L’articolo 1 del testo approvato dalla Commissione giustizia lascia intatta questa parte ed interviene sul comma 6 dell’articolo 157 c.p. aggiungendo che i termini di prescrizione – per i reati di corruzione – sono aumentati della metà del massimo della pena edittale. Si tratta dei reati di corruzione per l’esercizio della funzione (articolo 318 del codice penale), corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (articolo 319 del codice penale) e corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter del codice penale).
Novità principali
reati di corruzione: il termine di prescrizione base dei reati di corruzione propria e impropria e in atti giudiziari aumenta della metà. Per la corruzione in atti di ufficio (già portata dalla legge Severino fino a 8 anni) il processo dovrà intervenire entro 12 anni pena l’estinzione del reato.
stop countdown dopo condanna: la prescrizione resterà sospesa per 2 anni dopo la sentenza di condanna in primo grado e per 1 anno dopo la condanna in appello. La sospensione però non varrà in caso di assoluzione.
sospensione: oltre alle ipotesi già previste dal codice, la prescrizione sarà sospesa anche nel caso di rogatorie all’estero (6 mesi), perizie complesse (3 mesi, su richiesta dell’imputato) e istanze di ricusazione.
minori: in linea con le convenzioni internazionali, per i reati contro i minori (violenza sessuale, stalking, prostituzione, pornografia) il termine di prescrizione sarà calcolato a decorrere non da subito ma dal compimento del diciottesimo anno da parte della vittima.
N.B.: come tutte le norme penali, la riforma della prescrizione si applicherà solo ai reati commessi dopo l’entrata in vigore della legge.
Cosa comporta l’uso sproporzionato della prescrizione
Come ha segnalato il Procuratore Nazionale Antimafia, l’abnorme verificarsi della prescrizione causa, tre tipi di inconvenienti:

– di tipo economico: spreco di spesa (denaro pubblico) per attività giudiziarie, come indagini e processi, vanificate dall’estinzione del reato;

– di tipo sostanziale: molti reati rimangono impuniti, causando di fatto, sia un vulnus al principio dell’uguaglianza davanti alla sia un pregiudizio del diritto dell’imputato ad un processo di durata ragionevole;

– di tipo funzionale: l’incidenza sui tempi del processo conduce ad una irragionevole lunghezza in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo, evenienza da cui, tra l’altro, derivano le ripetute condanne del nostro Stato da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il nucleo e l’idea di fondo della proposta
La proposta fa leva sulla sentenza di condanna di primo grado che, affermando la responsabilità dell’imputato non può che essere assolutamente incompatibile con l’ulteriore decorso del termine utile al cosiddetto oblio collettivo rispetto al fatto criminoso commesso. Non si tratta però di far cessare da quel momento la prescrizione, quanto di introdurre specifiche parentesi di sospensione per dare modo ai giudizi di impugnazione di poter disporre di un periodo congruo per il loro svolgimento, senza che vi sia il pericolo di una estinzione del reato per decorso del tempo pur dopo il riconoscimento della fondatezza della pretesa punitiva dello Stato, consacrato dalla sentenza di condanna non definitiva.
L’idea di fondo è che ad ogni riscontro processuale della fondatezza dell’ipotesi accusatoria corrisponda la necessità di bloccare, cioè sospendere almeno temporaneamente il decorso della prescrizione, così da assegnare alla giurisdizione un tempo ragionevole per compiere la verifica della correttezza della decisione nei gradi di impugnazione e di temperare così la logica del “tutto o niente” propria della disciplina attuale. Infatti, pur permanendo un termine massimo entro il quale l’esercizio dello ius puniendi risulta definitivamente precluso, la giurisdizione ha la possibilità di sfruttare al meglio il tempo concessole per l’attività di accertamento dei fatti e irrogazione delle sanzioni previste per legge: il lavoro processuale svolto non viene vanificato alla prima occasione di superamento dei limiti temporali previsti dalla legge per lo svolgimento dei giudizi di impugnazione, ma, salvo per i casi in cui la fase preliminare e il giudizio di primo grado abbiano interamente “consumato” il termine di prescrizione, l’autorità giudiziaria ha la possibilità di attingere a ciò che resta (perché risparmiato nelle precedenti fasi di giudizio) del tempo complessivo che la legge le riconosce per pervenire ad una pronuncia definitiva sui fatti, prima che le ragioni poste alla base dello ius puniendi vengano meno, privando di legittimità l’intervento sanzionatorio dello Stato nei confronti della commissione di un reato.

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