Discorso per la commemorazione dei Martiri di Blessaglia – Pramaggiore (VE)

23 novembre 2014

Rivolgo innanzitutto il mio saluto e il mio ringraziamento al Sindaco e a tutta l’Amministrazione Comunale di Pramaggiore per l’impegno con il quale ogni anno organizza questa commemorazione, che non è solo un momento di ricordo ma di crescita civica offerta ai cittadini di oggi e di domani. Saluto i sindaci e le amministrazioni comunali, le autorità civili, militari e religiose, l’ANPI e tutte le associazioni combattentistiche presenti. Un saluto particolare ai ragazzi dell’Istituto “Marco Polo” di Pramaggiore e ai loro insegnanti.

Erano le 16.30 del 27 novembre di 70 anni fa e questo slargo della Postumia di allora, alberata di grossi platani, fu pervaso da un rumoroso silenzio. In quegli attimi non si è solo spenta la vita di sei giovani ragazzi ma, davanti agli occhi di centinaia di persone, si cercò di uccidere anche la speranza di una Liberazione dai soprusi, dalla violenza e dalla guerra. Speranza che dopo l’8 settembre 1943 era, invece, alimentata dal crescere delle esperienze partigiane, iniziative che erano la conseguenza di anni di opposizione al regime fascista, iniziative che concretizzavano l’impegno per la realizzazione di una libertà inseguita vent’anni e che ancora il nostro Paese nella sua interezza non viveva. In quegli attimi a Blessaglia, come accadde in tante altre parti d’Italia, si consumava il più incomprensibile dei gesti che per alcuni era diventato routine. L’uccisione di un fratello, spesso coetaneo, e la barbara esposizione del corpo straziato al pubblico significava, per i comandanti nazifascisti, imprimere nella mente dei civili il fatto che il riscatto, la libertà di pensiero, di parola e di movimento, la democrazia erano ancora lontane. Valori per i quali lottare era inutile. La crudeltà dei fatti, quindi, rispecchiava la crudeltà delle idee. E di fronte a questo assume ancora più valore ricordare oggi quei ragazzi che, insieme a migliaia di altri giovani, morirono senza sapere che il loro agire, quello di ogni singolo, fu fondamentale per iniziare la costituzione di un paese nuovo, libero, pacifico e democratico.

Insieme a questi ragazzi nel nostro Paese e nel nostro Veneto Orientale si impegnarono donne, medici, parroci, braccianti, intellettuali. L’idea di libertà non aveva e non ha colore, non era e non è patrimonio di qualcuno ma è un bene diffuso che ciascuno di noi può portare avanti anche con piccoli gesti. Quello di oggi per esempio, ricordare, il vostro essere presenti qui stamattina, come cittadini e come istituzioni, è un piccolo grande gesto per la libertà. Perché ricordare gli errori del passato, di cui gli uomini si sono resi colpevoli, e al contempo ricordare le grandi gesta, composte anche da comportamenti semplici che però richiesero coraggio, è dovere di ciascuno di noi.

Simone Weil sosteneva che il tempo, la storia, garantiscono il radicamento dell’uomo nel passato, e permettono la formazione dell’identità individuale e collettiva di un popolo. E’ importante, quindi, avere saldi punti di riferimento nella storia, nella memoria collettiva di chi ci ha preceduto per guardare avanti fiduciosi nel futuro. Non per restare malinconicamente rivolti indietro, ma per poter sorvolare dall’alto la prospettiva a lungo termine che ci si apre dinanzi. Tutto ciò che oggi noi siamo ha le sue radici nel passato, e dimenticare queste radici è come condurre una vita priva di riferimenti. Si ha fame e sete di memoria storica, non per una sterile nostalgia del passato, ma perché essa orienta una visione positiva della vita e dei rapporti umani, educa alla convivenza pacifica. “Non c’è futuro senza memoria”, lo dico soprattutto ai ragazzi che sono presenti qui oggi. Ragazzi, il vostro essere liberi, il vostro essere in pace oggi è figlio del sacrificio di coloro che persero la vita qui, nei nostri campi, nelle nostre montagne o di coloro che sopravvissero portando con se’ il dolore di ciò che hanno visto e vissuto. Ricordare significa, per un attimo, riportare tra di noi i martiri che 70 anni fa persero la vita:

  • Giodo Bortolazzi di San Donà di Piave, 18 anni;
  • Casimiro Benedetto Zanin di San Donà di Piave, 20 anni;
  • Flavio Luigi Stefani di San Donà di Piave, 21 anni;
  • Michail Zinowski, nome di battaglia “Marcello” di Kiuka ex Unione Sovietica, 27 anni;
  • Giuseppe De Nile, di San Chirico Raparo Potenza, 21 anni;
  • Bachisio Pau, nome di battaglia “Valerio” di Buddusò Cagliari, 25 anni;
  • Angelo Antonio Cossa, nome di battaglia “Remmit” di Bultrei Sassari, 23 anni;
  • Alfredo Fontanel, nome di battaglia “Fulmine” di Pramaggiore, 18 anni;
    Questi ultimi due, catturati il 29 novembre, uccisi ed esposti in questa strada, come gli altri, il 2 dicembre 1944.
  • Antonio Travain e Antonio Sassaro catturati ed uccisi nei mesi precedenti.

Il sacrificio di questi giovani si intreccia con il sacrificio delle comunità locali che aderirono alla Resistenza e ai valori che essa portava con sé. Queste comunità pagarono alto il prezzo del loro rifiuto. Nel Veneto Orientale, nel portogruarese, molti furono i morti, troppe le violenze, insuperabile il dolore. Un’intera famiglia portogruarese, la famiglia De Bortoli, venne trucidata a Torlano. E il sacrificio di questi martiri si intreccia anche con il destino di molte donne, il cui contributo nella Resistenza spesso non è citato. Le donne parteciparono in prima persona: si occupavano della stampa e distribuzione dei materiali di propaganda, svolgevano funzione di collegamento, curavano il passaggio delle informazioni, trasportavano e raccoglievano armi, munizioni, viveri, indumenti, medicinali, svolgevano funzioni infermieristiche, preparavano i rifugi e i nascondigli per i partigiani. Svolgevano funzioni e ruoli non di prima linea ma erano animate dal medesimo forte spirito di appartenenza e sacrificio per una causa collettiva, quella della ricerca della democrazia. Una donna veneta, Tina Anselmi, staffetta partigiana della brigata Cesare Battisti, fu la prima donna a ricoprire il ruolo di Ministro della Repubblica.

Spesso assistiamo al tentativo di rileggere la storia, reinterpretarla, attribuirgli significati e valori diversi. La Resistenza, quale movimento popolare per la libertà, è un patrimonio collettivo e come tale deve essere vissuto anche oggi. Giorgio Bocca diceva “La Resistenza non è pura e semplice conclusione armata della cospirazione antifascista, ma riscatto, coagulo, incontro delle forze democratiche di un Paese che non sarebbe quello che è, nel bene e nel male, senza di essa”.

Anche la nostra Costituzione non sarebbe quello che è senza la Resistenza. Ed è per questo che i principi fondamentali in essa contenuti vanno salvaguardati; perché sono valori conquistati con il sacrificio di coloro che hanno partecipato a quello che molti definiscono un secondo risorgimento. I nostri padri costituenti hanno voluto lì stabilire, nella Costituzione, che l’Italia è una e indivisibile. Nella nostra carta costituzionale si sancisce il diritto al lavoro, l’uguaglianza, il principio per cui la sovranità appartiene al popolo, il principio per cui la giustizia è uguale per tutti (e non è giustizia quella che si basa sulla prescrizione), il principio della divisione dei poteri, base di tutte le moderne democrazie nate sulle ceneri della seconda guerra mondiale. Il valore della pace, oggi minato dai numerosi focolai di guerra presenti nel nostro pianeta, per il quale l’impegno e il ruolo dell’Europa deve essere forte e determinato.

E’ per me un onore oggi, nel 70 anniversario della barbarie, partecipare con voi al ricordo dei martiri di Blessaglia e di tutti i caduti nel lotta di Liberazione. E’ un onore e un dovere per me, quale membro del Parlamento Italiano, ricordare sempre che la Resistenza è stata il seme della nostra Costituzione e della nostra Repubblica democratica, ma anche dell’europeismo e dell’idea di un’Europa unita. E’ stata la Resistenza, il rifiuto di un passato di discriminazioni e negazioni di diritti, a porre le basi per un futuro di democrazia.

Viva la Resistenza, Viva l’Italia!

Sara Moretto

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