40 ANNI DALL’OMICIDIO MORO. 40 anni di riforme mancate

Dall’accordo con il Pci di Berlinguer alla vittoria dei movimenti populisti. Idee e riflessioni per una politica riformista e sostenibile.

Discorso dell’on. Sara Moretto all’inconto “40 anni dall’omicidio Moro” organizzato dai Circoli Pd di Lido e Pellestrina lo scorso 12 maggio.

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Cosa ricorda di Aldo Moro chi, come me, è nato dopo la sua scomparsa? Per molti di loro (noi), soprattutto i giovanissimi, Aldo Moro è quello in maniche di camicia davanti al simbolo delle Brigate Rosse. Pochi ricordano l’Aldo Moro in rigoroso completo scuro, la sua politica, il suo metodo, il suo progetto. Pochi si chiedono cosa sarebbe cambiato se quel 9 maggio del 1978 Moro non fosse stato rapito mentre andava a votare la fiducia al governo Andreotti. Molti giovani non sanno qual era la situazione del Paese in quel 1978: un Paese in cui l’”ordine democratico” era in crisi.

Nel discorso ai parlamentari DC 16 giorni prima del rapimento, Moro diceva che la crisi latente aveva punte acute: “Il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, il rifiuto del vincolo, la deformazione della libertà – diceva – che non sa accettare né vincoli né solidarietà”. E in quel contesto Moro sosteneva la flessibilità della politica, la capacità di leggere l’esistente e sfidarlo per cambiarlo.

Appare la stessa Italia, da lui definita “dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili”, che viviamo oggi. Moro quindi va ritrovato proprio in questi giorni, a 40 anni dalla sua scomparsa.

I giovani, come ho detto, conoscono poco Aldo Moro che invece aveva di loro grande considerazione. Moro ha saputo leggere le fasi storiche, interpretandole proprio come passaggio tra generazioni. È stato tra i pochi in Italia che nel 1968 non reagirono emotivamente alla contestazione studentesca, intuendone invece il carattere di crisi, frutto di un processo di modernizzazione ancora troppo lento e impacciato rispetto alle attese e ai bisogni della nuova società italiana, e in particolare dei giovani, in campo con la loro ansia di una convivenza più giusta e più libera. Durante l’XI congresso della Dc nel 1969 diceva: “Una tale società non può essere creata senza l’attiva presenza di coloro per i quali il passato è passato e che sono completamente aperti verso l’avvenire. La richiesta di innovazione comporta naturalmente la richiesta di partecipazione. Essa è rivolta agli altri ma anche e soprattutto a sé stessi. Non è solo rivendicazione, ma anche un dovere ed un’assunzione di responsabilità”.

Sebbene oggi si tenda a dire che i giovani non hanno voglia di fare nulla, secondo me invece è innata la loro volontà di cambiamento, che è stata intercettata da alcune forze politiche alle elezioni del 4 marzo. Ma se Moro sosteneva che il cambiamento passasse attraverso la partecipazione che è assunzione di responsabilità, i Cinque Stelle hanno raccolto la voglia di cambiamento (di molti giovani), proponendo tuttavia una partecipazione virtuale, ormai tradita nel fatti (uno vale uno è rimasto un proclama) e una responsabilità che si ferma ad un “Vaffa” generale volto a demolire più che a costruire. “La linfa vitale dell’entusiasmo, dell’impegno, del rifiuto dell’esistente propri dei giovani nella società” a cui Moro faceva riferimento viene in questo modo dispersa.

La stagione politica che stiamo vivendo ci impone quindi, anche per questo,profonde riflessioni (sul coinvolgimento dei giovani e non solo). Se lo scenario politico e il ruolo dei partiti è già in crisi da diverso tempo, proprio in questi giorni abbiamo assistito a situazioniche mettono in discussione, anzi quasi demoliscono, anche il sistema istituzionale del nostro Paese (risposte immediate a Mattarella dai leader dei due partiti).

Il disprezzo per i partiti, il dileggio del ruolo parlamentare, la mancanza di rispetto per le istituzioni hanno radici lontane. Sono state coltivate negli ultimi decenni con il contributo di una politica, con la p minuscola, che ha posto la moralità all’ultimo posto della scala dei valori, da cui è difficile affrancarsi con il comportamento dei singoli. Dagli anni 90 in poi l’individualismo dimostrato da una certa parte della politica (pensiamo alle leggi ad personam), ha sopraffatto qualsiasi residuo sentimento di comunità.

A questa decadenza ha certamente contributo anche un sistema mediatico che ha alimentato un’idea di Paese ormai compromesso. Già nel 1977 “Il Giorno” pubblicò un editoriale di Moro intitolato “Il bene non fa notizia, ma c’è” in cui lo statista affermava che mentre “penso all’immensa trama di amore che unisce il mondo… mi rendo conto che la vistosa preminenza nella cronaca (ed anche nella storia) della contestazione arbitraria (che non è naturalmente il dissenso costruttivo) di fronte alla regola pacificatrice non è facile da rimuovere.…e tuttavia si insinua così il dubbio che non solo il male sia presente, ma che domini il mondo. Un dubbio che infiacchisce quelle energie morali e politiche che si indirizzano fiduciosamente … alla redenzione dell’uomo”.

Leggendo queste parole ci accorgiamo di quanto manchi al Paese Aldo Moro e il suo modo di affrontare la cose, con concretezza ma senza cadere nella semplificazione.

Non c’è testo, discorso o intervento in cui i fatti della politica non diventino per lui elementi di un’analisi razionale. In tutti gli scritti si percepisce la volontà di andare oltre la superficie. Martinazzoli nel 1989 dicevaAl ragionare di Moro è stato spesso rimproverato di essere oscuro. Una critica che dissimula una più generale incomprensione per una cifra politica. Un cifra fatta di meditata e a volte sofferta riflessione, di rapporto non sbrigativo con i problemi, di lucida consapevolezza della complessità del reale. Un modo di pensare alla politica che nel nostro Paese è stato tanto strettamente associato alla figura e al nome di Moro da indurre quasi a pensare che si sia coì inteso circoscriverlo, riconducendolo ad un’eccezione della quale, tutto sommato, la politica potrebbe fare a meno volentieri”. Affermazioni armare ma condivisibili. Oggi almeno una parte della politica risulta superficiale, chiusa su se stessa, distante dal sentire comune e allo stesso tempo incapace di fare scelte proiettate al futuro perché ciò che ricerca è il consenso immediato.Oggi pare non ci sia spazio e tempo per la riflessione e l’analisi, tanto meno per l’approfondimento ed il confronto.

La figura di Moro, com’è stato ricordato, è associata al “compromesso storico” e quindi alla sua apertura al dialogo.

Moro perseguiva l’arte della mediazione ritrovandosi spesso solitario rispetto all’ambiente politico in cui agiva. Una mediazione che era l’opposto di una scelta tattica ma rientrava invece in una visione del sistema politico-istituzionale in cui il Parlamento è assunto come protagonista e responsabile dell’evoluzione democratica del Paese.

Ma la mediazione politica,a cui  anche Moro tendeva, presuppone un mediazione culturale e una base di rispetto reciproco. Se con la Lega è impossibile mediare su valori culturali profondamenti diversi e per noi irrinunciabili, con i Cinque Stelle è sempre mancato un rispetto reciproco. Non potevamo aspettarci altro da un Movimento nato con l’obiettivo di demolire un sistema istituzionale nel quale noi invece ci sentiamo parte nel rispetto della Costituzione, che lo stesso Moro contribuì a scrivere.

Oggi quindi vengono al pettine molte delle questioni che Moro poneva, sulla partecipazione, sul ruolo del parlamento, sul pieno compimento della democrazia in Italia e le sue riflessioni appaiono attuali nonostante siano, forse inutilmente, passati 40 anni. Le sue parole e il suo spirito riflessivo ma innovatore possono essere ancora guida. Moro rappresenta una classe politica che non possiamo limitarci a rimpiangere ma che dobbiamo tutti impegnarci a ricostruire.

Come? Proponendo un nuovo modello culturale che rimetta al centro il valore delle istituzioni. Nel rispetto delle persone e delle loro idee, si devono superare gli scontri finalizzati solo alla demolizione dell’altro per recuperare il valore vero della politica, che è confronto costruttivo, scienza a servizio del bene comune, arte di governare. Il Partito Democratico rivendica le scelte fatte nella scorsa legislatura ma allo stesso tempo, partendo dall’esito delle elezioni, deve essere pronto ad una nuova sfida, a tessere e a ricostruire relazioni nei territori, a fare proposte innovative per il Paese. Nel rispetto della scelta degli elettori, dovrà portare avanti un’opposizione attenta, tenace, che sfugga alla propaganda e che difenda i valori della nostra Repubblica.

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