Accoglienza dei migranti, alcune riflessioni

L’Audizione del Prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia, in Commissione d’inchiesta sui centri per migranti, ha offerto un quadro completo della situazione in Veneto che mi spinge a proporvi, seppur in sintesi, alcune riflessioni più generali sulla gestione del fenomeno immigrazione.
Il nostro Paese è frontiera d’Europa, quindi primo approdo.
In base alla Convenzione di Dublino, firmata dall’ex Ministro Maroni, le centinaia di migliaia di persone che giungono in Italia, spesso aspirando ad altre destinazioni finali quali, ad esempio, il Nord Europa, devono ottenere dal primo paese di arrivo la dichiarazione di protezione internazionale per poi potersi muovere liberamente.
Mentre attendono il riconoscimento di questa protezione, i migranti sono inseriti in un sistema di accoglienza nazionale che, secondo l’accordo stipulato nel luglio 2014 tra Anci e Ministero dell’Interno, dovrebbe essere organizzato in:

Hotspot: strutture governative di prima assistenza per soccorso, identificazione e screening sanitario dopo l’arrivo, nelle quali la permanenza è limitata a qualche giorno prima del trasferimento negli Hub regionali;

HUB: centri di livello regionale e/o interregionale per il completamento delle procedure burocratiche per la domanda di protezione ed la gestione di un regolare afflusso dei migranti verso il sistema SPRAR;

SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati): rete degli enti locali che offrono progetti di accoglienza integrata accedendo al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.
Ad oggi gli hotspot attivi sono 4:  Lampedusa (dal 1 ottobre 2015), Trapani (22 dicembre 2015), Pozzallo (19 gennaio 2016) e Taranto (dal 29 febbraio 2016) con una capienza complessiva potenziale di circa 1500 persone. Nei picchi di arrivo non sono certo sufficienti ad accogliere tutte le persone che sbarcano. Ciò può comportare quindi il trasferimento diretto alle regioni.

Non sono attivi gli HUB regionali e il sistema SPRAR evidenzia nei numeri la sua attuale incompiutezza: solo 22192 posti, di cui appena 434 in Veneto.
Ciò ha costretto le prefetture a ricercare soluzioni alternative attraverso bandi di gara per accoglienze temporanee rivolti al privato sociale in un rapporto diretto con lo Stato.
Dove anche questo non è stato sufficiente si sono attivati centri governativi di grandi dimensioni in strutture demaniali sempre con affidamento a soggetti del terzo settore.
In questo contesto si sono infilati in alcuni casi soggetti criminali che hanno trasformato l’accoglienza in un business deviato che ha comportato maggiori costi e condizioni di vita inaccettabili dei richiedenti asilo.
Se una delle preoccupazioni di chi amministra è la percezione di insicurezza che i cittadini possono avere di fronte alla presenza nel territorio di persone migranti, è proprio il sistema SPRAR, che garantisce l’accoglienza diffusa, ad essere la soluzione.
Il sindaco infatti può spiegare ai cittadini che partecipa, secondo i principi costituzionali di sussidiarietà, alla gestione di un fenomeno che investe il Paese, chiarendo da subito qual è il numero di persone, il luogo di dimora ed il progetto di integrazione. Si assume insomma il compito di gestire il fenomeno anziché correre il rischio di subirlo senza alcuna voce in capitolo.
In Veneto c’è una particolarità che non si trova altrove: ci sono caserme che ospitano numeri significativi di richiedenti asilo, utilizzate come Hub, e un sistema Sprar insignificante. Ben 343 comuni su 576 non accolgono nemmeno un migrante.
Comprendo i sindaci ma oggi dobbiamo tutti insieme assumerci delle responsabilità: lo Stato deve garantire sui tempi di permanenza e sui numeri, i comuni devono dare la disponibilità a far parte del sistema.
Il problema non è limitato a questo aspetto. Gran parte delle persone che entrano nel sistema di accoglienza italiano faticano ad uscirci. Perché?
Al 26 settembre in Italia vi sono 160.030 migranti accolti.
Come escono? Ottenendo o meno la protezione internazionale: nel primo caso possono muoversi, nel secondo devono rimpatriare.
A causa del numero ridotto di commissioni di valutazione, negli anni in Italia si sono accumulate migliaia di richieste. Questo Governo le ha raddoppiate portandole a 40, in Veneto sono passate da una a tre. I tempi di valutazione delle nuove domande in Provincia di Venezia è di 3 mesi. Questi dati sono certamente positivi ma dobbiamo tener conto che la quasi totalità di coloro che ottengono un diniego, ovvero il 60 per cento delle richieste, fa ricorso. I ricorsi si imbottigliano nella giustizia ordinaria, nei tribunali insieme alle migliaia di altre cause da esaminare e ciò porta i tempi di attesa anche a due- tre anni, a seconda dei territori.
Se si arriva alla fase del rimpatrio, il limite attuale è il fatto che i rientri in patria sono affidati ad accordi bilaterali tra l’Italia e il Paese di provenienza e ad oggi esistono accordi con solo 4 Paesi: Tunisia, Nigeria, Egitto e Marocco.
È chiaro che la gestione degli arrivi non può essere affrontata solo ed esclusivamente dal nostro Paese. L’Europa dovrebbe impegnarsi di più su questo fronte, rispettando innanzitutto l’accordo sulle ricollocazioni dei profughi e siglando direttamente i patti bilaterali per i rimpatri con i Paesi dell’Africa.
L’impegno del nostro Governo in Europa per spingere verso una vera azione condivisa sul fronte delle migrazioni è costante e ha prodotto alcuni risultati. Non da ultimo il primo piano europeo di investimenti in cooperazione con i Paesi dell’ Africa. Così finalmente si è tradotto in fatti concreti lo slogan “aiutiamoli a casa loro” in cui molti, anche con passate responsabilità di governo, si rifugiavano in assenza di altri contenuti.
Ovviamente non nascondo che questo breve quadro delle questioni in campo parte da alcune premesse che fanno parte di me e che sicuramente non sono le stesse di chi utilizza il fenomeno dell’immigrazione a fini elettorali. Sono premesse semplici ma per me inderogabili perché hanno a che fare con la propria coscienza e lo zainetto di valori che ciascuno di noi intende portare con sé.
Le migrazioni fanno parte della storia e dell’umanità.
Oggi però si usa la distinzione tra profugo e migrante economico spesso per giustificare strumentalmente il rifiuto del fenomeno. Più in generale, sono convinta che non sia umanamente accettabile pensare di lasciar morire delle persone che rischiano la vita per avere un futuro per sé stessi e la propria famiglia.

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